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OSCURAMENTO PAGINA FACEBOOK

Il Tribunale Collegiale di Reggio Emilia con ordinanza del 26/09/2016 ha chiarito, con riferimento ad una istanza di dissequestro, che il service provider non è titolare di alcun interesse che lo legittimi a chiedere la revoca di un tale provvedimento, anche se di fatto risulta il destinatario del sequestro stesso.

Ciò si ricava, continua il collegio, dai dettami del D.Lgs. 70/2003 il quale (artt. 14-15-16) esclude la responsabilità delle società che svolgono attività di hosting provider, precisando che l’autorità pubblica può inibire alcuni contenuti presenti nello stesso provider.

La vicenda trae origine da un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip di Reggio Emilia che aveva così disposto  il sequestro preventivo “dei gruppi Facebook “Musulmani d’Italia- comunità” e “Musulmani d’Italia-gruppo chiuso” mediante oscuramento”.

Sugli stessi, invero, erano stati rinvenuti post e commenti diffamatori e minacciosi nei confronti di una giornalista della testata Il Resto del Carlino.

A seguito della notifica del decreto di sequestro la Facebook Ireland – che inizialmente non aveva ottemperato alle prescrizioni  – aveva rimosso dapprima “l’accesso ai post individuati nel medesimo decreto” e successivamente, su sollecitazione dello stesso P.M., rimosso l’accesso alla pagina facebook  e al gruppo facebook.

Successivamente, però, Facebook Ireland formulava richiesta di revoca parziale del sequestro, chiedendo che venissero modificate le modalità esecutive.

Il Gip rigettava la richiesta affermando che era “privo di attuale e concreto interesse alla revoca parziale del sequestro”, posto che sia la Pagina Facebook che il Gruppo, gravati dal vincolo, nell’ipotesi di “dissequestro” “tornerebbero nella disponibilità non dell’istante, ma delle persone che – tramite la piattaforma Facebook – hanno creato e gestiscono tali luoghi virtuali”.

Sul diniego Facebook Ireland presentava però appello sostenendo che non può ammettersi  l’imposizione di prescrizioni che si risolvono sostanzialmente in un’inibitoria, senza però attribuire al destinatario di tali ordini e prescrizioni la possibilità di “impugnare” il provvedimento che li contempla.

Ma il Tribunale investito è di tutt’altro avviso, sostenendo che l’art. 321, comma 3, c.p.p. prevede, infatti, in tema di sequestro preventivo, che la richiesta di revoca (anche solo parziale) della misura cautelare può essere proposta, oltre che dal pubblico ministero, anche dall’interessato: ed è evidente che con tale espressione la disposizione citata si riferisce a colui che vanti un interesse concreto ed attuale a tale revoca o modifica.

E’, poi, principio consolidato, desumibile dalla complessiva disciplina in materia di impugnazioni (anche in tema di misure cautelari), che il mezzo di gravame, per essere ammissibile, deve essere sorretto da un interesse concreto ed attuale, da intendersi quale situazione favorevole o vantaggiosa derivante dall’accoglimento dell’impugnazione proposta (anche qualora si tratti dello stesso indagato nel procedimento penale: cfr. fra le altre, Cass. Sez. III, 8.4.2016, n. 30008; 20.1.2016, n. 9947; sez. II, 16.9.2015, n. 50315).

Orbene, nel caso di specie la società Facebook Ireland non può essere considerata, nell’ipotesi di sequestro preventivo di pagina o gruppo Facebook, la persona alla quale le “cose sono state sequestrate”, posto che tale condizione si realizza solo nell’ipotesi in cui la persona abbia una effettiva disponibilità di ciò che ha costituito oggetto del vincolo reale, che si concretizza – nel caso di sequestro di pagine web o siti internet – nella possibilità di gestire in concreto quella pagina o quel sito, avendone il potere di gestione e di amministrazione.

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