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IL NUOVO REATO AMBIENTALE – PICCOLA GUIDA IN MATERIA

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Con la sentenza n.  46170/2016 la Cassazione pone alcuni importanti principi interpretati del nuovo reato ambientale introdotto con la legge 22 maggio 2015 n. 68.

L’art. 452 bis c.p. dispone che “E’ punto con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 10.000 a 100.00 euro chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Quanto l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”.

In particolare, si ha condotta abusiva – secondo gli Ermellini – qualora l’attività inquinante si svolga in maniera sistematica e continuativa, in violazione delle prescritte autorizzazioni.

Si aggiunga che sul punto la dottrina ha altresì fatto richiamo alla direttiva 2008/99/CE riconoscendo un’accezione ampia di condotta abusiva, comprensiva non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative.

Nessuna incertezza neanche in merito al bene ambientale sul quale si riverbera la condotta illecita, essendo sul punto la norma molto chiara, e non ponendo limitazioni quantitative e qualitative tali da ingenerare confusione.

Qualche dubbio, essendo per l’appunto una fattispecie di nuova introduzione, si pone circa l’esito delle condotte accertate, le quali devono aver determinato la compromissione e/o un deterioramento significativo e misurabile di un determinato ambiente.

Per individuare concretamente il concetto di compromissione o deterioramento, non rileva la denominazione di “inquinamento ambientale” attribuita dal legislatore al reato in esame, così come non decisiva appare la definizione di cui all’art. 5 comma 1 ter d.lgs. 152/06, che parla solo di deterioramento significativo e misurabile.

Ciò posto, deve precisarsi che intanto il legislatore ha voluto far riferimento alternativamente a due condotte diverse, ritenendo che ciascuna di esse, anche singolarmente, possa integrare la fattispecie di reato ambientale.

Essi però di fatto indicano situazioni molto simile, che si risolvono in un’alterazione ovvero in una modificazione dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata nel caso di “compressione” in una tendenziale irrimediabilità,  con situazioni strutturali e non provvisorie di inabilità del bene rispetto alle sue funzioni, evidenziando anche la rilevanza del danno che caratterizza la condotta.

Dunque la condotta deve essere tale – e ripetuta – da arrecare una modificazione/deterioramento irreversibile del sistema interessato.

 

 

 

 

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